LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE COSTRUISCI IL TUO SAPERE"

creata il 2 aprile 2012

 

 

Freud era intuizionista?

Introduzione alle “Costruzioni nell’analisi” di Sigmund Freud (1937)

Nel 1997, con un intervento dal titolo Lacan era intuizionista?, partecipai al Congresso organizzato da Ed Robins alla Columbia University di New York sulla nozione lacaniana di sessuazione. Sostenevo che fosse di stampo intuizionista l’affermazione di Lacan secondo cui il rapporto tra sessi si configura come rapporto di esclusione tra A e non A, non essendo un rapporto logicamente valido né come congiunzione, né come implicazione, né come disgiunzione logica. Perché lo sostenevo? Perché giustamente sono false sia la congiunzione di A e non A sia l’implicazione tra A e non A (o viceversa); ma la disgiunzione logica A o non A non è falsa; è una tautologia classicamente vera, essendo il ben noto principio del terzo escluso. Insieme al principio di identità (se A allora A) e di non contraddizione (non(A et non A)), il principio del terzo escluso (A vel non A) fonda tutte le logiche ontologiche da Aristotele a Hegel; ma è anche la tesi che Brouwer sospende: A vel non A non vale nell’intuizionismo, proprio come non vale (sembra) nel lacanismo. (1) Quindi, aveva senso interrogarsi sulla posizione di Lacan nei confronti dell’intuizionismo. In termini meno scientifici e più filosofici, la mia questione aveva un senso filosofico generale: precisamente, mi chiedevo quanto poco ontologico fosse Lacan quando negava la validità di A vel non A nel caso del rapporto sessuale. Poco ontologico, addirittura controontologico quanto Brouwer o meno? (2)

Per malaugurati conflitti interni alle scuole lacaniane di psicanalisi gli atti di quel congresso non furono mai pubblicati. Il mio intervento si trova ora trascritto (senza formule) su Psychomedia o sviluppato in forma colloquiale in questo sito alla pagina Lacan intuizionista, che contiene anche la versione inglese del mio intervento.

Se ricordo un fatto di tanto tempo fa, la ragione cè ed è perché la questione dell’intuizionismo non concerne solo il lacanismo, ma prima ancora tocca il freudismo. In che senso? Nel senso che anche per Freud ha senso chiedersi quanto poco fosse ontologico e quanto fosse invece epistemico.

Per giustificare la mia tesi devo fare un giro piuttosto lungo, veramente perifrastico. A chi voglia arrivare a comprendere perché la mia risposta alla domanda del titolo è positiva chiedo la pazienza di seguire tutti i passaggi.

Tutto ruota intorno a un presupposto: la filosofia implicita di questi grandi maestri della psicanalisi fu essenzialmente aristotelica (quindi potenzialmente ontologica). L’aristotelismo arrivò a Freud attraverso i seminari che Franz Brentano teneva a Vienna intorno agli anni Settanta del XIX secolo e che erano frequentati dalla meglio gioventù dei tempi: Freud, Husserl, Meinong… Per la via indiretta della fenomenologia – filosofia che nella versione husserliana fu essenzialmente anticartesiana (sic, ma non mi giustifico per non allungare ulteriormente il mio détour) – l’aristotelismo arrivò a Lacan; come tutti gli psichiatri del suo tempo Lacan ricevette una formazione fenomenologica alla Eugène Minkowski, che in seguito ripudiò-conservò, passando alla fenomenologia dello spirito secondo Hegel-Kojève, senza tuttavia minimamente mettere in discussione l’assetto aristotelico di partenza.

Chi legga questo esordio, se è abbastanza intelligente, è probabile che si precipiti subito a bloccare la mia lunga perifrasi già sul punto di partenza chiedendomi: “Vuoi forse dire che Aristotele era intuizionista?” Per prendere tempo e salvare il mio percorso precocemente interrotto sono costretto a rispondere: sì e no. Aristotele fu e non fu intuizionista; non lo fu in quanto affermava la validità del principio del terzo escluso, che l’intuizionismo sospende; ma Aristotele fu in parte anche intuizionista per un certo uso – anzi, non uso – dei quantificatori logici: l’universale e l’esistenziale, il per ogni e l’almeno uno.

Il fatto è ben noto agli storici della logica. Anticamente “tutti”, “nessuno” “qualcuno” non erano operatori logici nel senso che successivamente diede loro Frege; secondo questo autore i quantificatori quantificano una variabile, la quale figura come argomento di una funzione (o predicato); il senso fregeano del quantificatore universale è: “tutti” i valori della variabile rendono la funzione vera; il senso fregeano dell’operatore esistenziale è: “qualche” valore della variabile rende la funzione vera. Anticamente, invece, “tutti”, “nessuno” (nel senso di “tutti non”) e “qualcuno” erano soggetti di un predicato, cioè lo verificavano come “Socrate” verifica il predicato “essere mortale”. Qualcosa – non molto – di questa concezione sopravvive nel moderno intuizionismo, dove l’uso dei quantificatori è ristretto rispetto alla pratica fregeana, nel senso che l’intuizionista non ammette l’equivalenza tra “esiste un soggetto che soddisfa un certo predicato” e “non tutti i soggetti soddisfano il predicato contrario”. Per esistere l’esistenza intuizionista richiede qualcosa di più che soddisfare il principio di non contraddizione (come bastava al formalismo hilbertiano); richiede un algoritmo che la individui effettivamente, magari dopo aver controllato un numero infinito di casi. (3)

Valgono analoghe considerazioni passando dalla logica alla geometria. Aristotele moriva (322 a.C.), Euclide nasceva (era appena nato nel 323 a.C.); quasi si può considerare la geometria euclidea la reincarnazione in matematica della filosofia di Aristotele. Per convincersene basta aprire i suoi Elementi, i famosi Stoichéia, l’enciclopedia del sapere matematico che dominò il pensiero matematico per più di 2000 anni, fino ai primi anni del secolo XIX, quando i Gauss, Bolyai e Lobacewski aprirono le porte alla geometria moderna, quella non euclidea. Ecco lo strepitoso incipit del primo libro euclideo, cui ne seguiranno ben altri tredici:

Semeión estin, ou méros outhén,

da tradurre: “punto è ciò di cui non c’è parte alcuna”. Questa non è matematica; è filosofia. È la stessa definizione dell’Uno che ricorre nel Sofista (245a) e in innumerevoli altri luoghi platonici e postplatonici. Volendo considerarlo come asserto matematico – formulato negativamente in modo inconsueto – si potrebbe dire che poneva la geometria euclidea fuori dall’ambito della matematica insiemistica. In matematica ogni insieme, ha sottoinsiemi ossia parti; anche l’insieme vuoto, ha parti: la parte vuota; ergo il punto di Euclide non è un insieme. È subito chiaro che il punto di partenza della geometria euclidea ek-siste rispetto alla matematica moderna, che è (anche se non esclusivamente) prevalentemente insiemistica; tratta classi di elementi, o spazi; non tratta singoli elementi.

Ma ecco la conseguenza che forse può interessare allo psicanalista. Dal non essere insiemistica segue la “fuorclusione” dalla matematica antica degli operatori universale ed esistenziale. I teoremi euclidei non assumono praticamente mai la forma universale: in ogni triangolo la somma degli angoli interni è pari a due retti. Da qui la geometria euclidea deriva un carattere costruttivista – intuizionista ante litteram – per cui l’esistenza non è il portato dell’appartenenza a un insieme ma risulta da una costruzione effettiva. Allora, l’infinito è potenziale nel senso che un segmento di retta può essere costruito sempre più lungo. Allora, il primo teorema vero e proprio degli Elementi è la costruzione con riga e compasso del triangolo equilatero sulla base di un segmento dato. Allora, qualcosa esiste perché una costruzione (kataskeué) l’ha portato all’esistenza.

Freud e Lacan sono stati intuizionisti in questo senso?

Certo, essendo interessati al soggetto – quello dell’inconscio Freud, quello della scienza Lacan – sia Freud sia Lacan sono stati anche aristotelici, quindi, indirettamente e potenzialmente intuizionisti. Ma come quasi sempre in psicanalisi, vale anche l’inverso: Freud e Lacan sono stati intuizionisti in quanto non sono stati aristotelici; non è difficile dimostrarlo. Quando Freud costruisce un inconscio dove non vale il principio di non contraddizione e dove non A vale a volte come A, come rappresentante del rimosso, fa di fatto decadere il principio del terzo escluso e si avvicina a Brouwer. Quando nel seminario Encore del 10 aprile 1973, dove presenta il suo quadrato della sessuazione, Lacan afferma che, se non tutti gli x si iscrivono nella funzione fallica – se non tutti gli x la saturano, direbbe Frege – , allora non è detto che esista un x che contraddica quella funzione, afferma qualcosa di plausibile e apre alla teoria psicanalitica le porte dell’intuizionismo. (4) Brouwer sostiene, infatti, che la tesi classica secondo cui il non ogni implica l’esiste uno che non vale solo in ambito finito e decade nell’infinito. Con ciò si pone il problema essenziale per l’analista:

come si realizza in analisi una costruzione che ospiti l’infinito?

La questione è essenziale perché riguarda il problema del rapporto del soggetto con l’oggetto del desiderio, che è infinito. Cosa aveva da dire Freud a proposito di infinito nel suo scritto, che ritengo potenzialmente intuizionista, del 1937, Costruzioni in analisi?

Da buon medico ippocratico, profondamente compromesso con il principio eziologico di ragion sufficiente, su cui si basa tutta la pratica medica dalla diagnosi alla terapia, Freud era a disagio con l’infinito. Freud era prigioniero dalla fallacia che considera la medicina una scienza. Anche se polemizzava con i medici, per esempio nel pamphlet sull’Analisi laica del 1926, voleva costruire una psicanalisi sul modello medico con cause che producono le nevrosi e terapie che rimuovono le cause, quindi le nevrosi. Era il suo ätiologischer Anspruch (pretesa eziologica), come lui stesso lo chiamava. Per non allungare ulteriormente il mio Umweg, non affronto la discussione della fallacia freudiana, del resto molto diffusa non solo ai suoi tempi e non solo tra i medici. Mi limito solo a riconoscere che la supposta “scienza medica”, esattamente come il buon senso, non ammette l’infinito.

Conosciamo l’argomentazione di Aristotele contro l’infinito, esposta nel secondo libro della Metafisica: se esistesse l’infinito, non si potrebbe risalire dall’effetto alla causa immediata, dalla causa immediata alla causa seconda, dalla causa seconda alla causa prima, ultimamente al motore immobile, motore e movente di tutto – ecco la Ursache o “cosa prima” dei tedeschi, la loro “causa”. Se esistesse, l’“infinito” diventerebbe sinonimo di contraddizione in termini, in quanto confliggerebbe con la nozione di causa, che gli è logicamente superiore. La fallacia aristotelica si basava su un presupposto preciso, tuttora ben radicato nel buon senso, difficile da smuovere e fonte di ogni resistenza alla scienza: l’infinito ha un solo modello, (5) il senza fine e il senza principio, l’illimitato spaziale e l’interminabile temporale. (6) Avendo a che fare con il corpo, che è limitato nello spazio, e con le storie cliniche, che sono narrazioni limitate nel tempo, il medico Freud, ippocratico e per giunta aristotelico, era a disagio con l’infinito. L’infinito gli impediva di formulare delle diagnosi, nel senso di riconoscimento delle cause morbose e gli ostacolava l’attività terapeutica, nel senso di rimozione della causa morbosa stessa.

Eppure...

Il fondamento della mia critica al freudismo è interno alla speculazione freudiana e tende a correggerla in due modi, operando da due versanti: da una parte, espungendo ciò che la appesantisce, dall’altro rinforzando ciò che la dinamizza. È una questione di buon senso: non si può rinforzare una teoria conservando ciò che la indebolisce e l’appesantisce. L’ortodossia, che pretende conservare TUTTO di una dottrina, la porta inevitabilmente a isterilirsi, perché il tutto è contraddittorio e dal contraddittorio si deriva tutto e il contrario di tutto, cioè niente .

Allora decanto Freud dalla sua metapsicologia, la dottrina delle pulsioni, che è costruita sullo stampo delle eziopatogenesi mediche con un agente morboso – le pulsioni appunto – e una fisiologia della loro interazione con l’organismo vivente. Quella dottrina “mitopsicologica” portò Freud a cervellotiche considerazioni antibiologiche, come quelle elaborate dopo il 1920, intorno alla pulsione di morte; perciò va abbandonata, se si vuole accedere a una psicanalisi scientifica. (7)

Alla fine cosa conservo di Freud?

Conservo un pacchetto di assiomi esistenziali che trattano implicitamente dell’infinito – senza che Freud ne avesse la consapevolezza; sto dicendo che l’inconscio freudiano era inconscio anche per Freud.

Il primo assioma è quello dell’inconscio propriamente detto: esiste un sapere che non si sa di sapere, il quale produce effetti soggettivi come sogni, sintomi, lapsus, transfert e motti di spirito.

Il secondo assioma è quello della rimozione originaria: esiste la Urverdrängung di principio, che precede ogni rimozione di fatto.

Il terzo assioma è quello che istituisce la logica temporale dell’inconscio: nell’inconscio esistono effetti ritardati di sapere (logica della Nachträglichkeit).

Perché dico che questi assiomi fanno esistere l’infinito nella costruzione freudiana? Lo importano forse dal luogo dell’Altro, il luogo tanto caro a Lacan dell’alterità assoluta?

Innanzitutto, il primo assioma non lo esclude. L’infinito implica una certa ignoranza, non potendo essere definito in modo categorico, per esempio come “sempre più grande” alla Aristotele. D’altra parte il matematico dimostra di saperci fare con la propria ignoranza, ricavando teoremi dall’infinito, quasi che la sua fosse una vera e propria scienza dell’ignoranza. Sostengo che anche l’analista in certi atti analitici dimostra una sua inconsapevole competenza in fatto di infinito, quasi che anche la psicanalisi appartenesse allo stesso genere epistemico della matematica.

Il secondo e il terzo assioma trattano esplicitamente dell’infinito. L’assioma della Urverdrängung coglie un aspetto fondamentale della moderna epistemologia dell’infinito: l’aspetto di incompletezza. Il teorema di Gödel dell’incompletezza dell’aritmetica stabilisce che qualunque sistemazione dell’aritmetica entro un sistema finito di assiomi e di regole di deduzione è essenzialmente incompleto. Non solo afferma che, se l’aritmetica è coerente, esiste un enunciato aritmetico indecidibile, cioè né dimostrabile come teorema né confutabile con un controesempio; ma afferma di più: aggiungendo al sistema assiomatico l’enunciato indecidibile come nuovo assioma, rendendolo così forzosamente decidibile, il nuovo sistema assiomatico allargato risulta ancora incompleto come il precedente con un nuovo enunciato indecidibile.

Pur avendo inventato la Urverdrängung, immaginandola come conseguenza di una Fixierung all’evento traumatico primitivo, (8) Freud non fece grande uso di questo assioma, perché comprometteva l’ideale terapeutico di analisi come lavoro che colmasse tutte le lacune (Lücke) di memoria. Capiamo Freud; non poteva mettere sul mercato la cura analitica, se questa era essenzialmente incompleta e interminabile; lo vietava la sua deontologia medica. Ma noi, che perseguiamo altre forme di etica, più vicine alla morale par provision cartesiana, non abbiamo nessuna remora ad accettare analisi “interminabili”, se lo richiede la semantica dell’oggetto infinito del desiderio.

Il terzo assioma è meno imbarazzante. Esso non solo istituisce una logica epistemica in termini temporali – la logica del tempo di sapere –, ma propone una concezione del vero e del falso radicalmente diversa da quella ontologica di Aristotele. Il vero non è più adeguamento all’essere e il falso non è più l’antitetico al vero, come si pensava in epoca prescientifica. In epoca scientifica, prima Cartesio e poi Spinoza avviano una vera e propria riforma dell’intelletto, dove il vero è il saputo e il falso è il non saputo. In quest’ottica l’inconscio, come luogo del non sapere che si sa, è, quindi, essenzialmente il luogo del falso. La logica è la transizione temporale dal falso, come ciò che è originariamente meno ben saputo, al meno falso come ciò che è meglio saputo grazie al lavoro dell’analisi. A questo punto la logica temporale di Freud sbarca in territorio intuizionista, dove il vero è conoscere la dimostrazione e il falso non conoscerla ancora. Il processo di analisi è allora un processo temporale di costruzione della verità a partire dal falso. In Costruzioni nell’analisi Freud non parla d’altro. Arriva a dirlo con le parole del prediletto Nestroy: “Il corso degli eventi chiarirà tutto”. Non arriva a dirlo con le parole della matematica, la quale conosce una tipica transizione dal falso al vero nella cosiddetta dimostrazione per assurdo o indiretta, dove si ammette per ignoranza che l’enunciato in questione sia falso e lo si dimostra vero derivando una contraddizione.

A sostegno di questa logica epistemica, propongo alcune considerazioni che ne dimostrano la coerenza con i precedenti assiomi.

Il falso non è falso in sé ma è il potenzialmente vero. Questo è un teorema spinoziano. Nella proposizione 33 della Seconda parte dell’Etica, Spinoza afferma che nelle idee non vi è nulla di positivo per cui siano dette false. Infatti, essendo pensate da Dio, tutte le idee sono essenzialmente vere; come il Dio di Paolo e di Cartesio, anche il Dio di Spinoza non inganna; falsa è solo la presentazione delle idee in modo non chiaro e non distinto. (Spinoza è uno dei pochi filosofi cartesiani della storia). Nella successiva proposizione 35 afferma: La falsità consiste nella privazione di conoscenza che inerisce a idee inadeguate, ossia mutilate e confuse. Addirittura, nella proposizione 36 stabilisce che le idee inadeguate e confuse si svolgono con la stessa necessità delle idee adeguate, ossia chiare e distinte. Sembra di sentire Freud che in Costruzioni nell’analisi raccomanda all’analista di non temere di proporre ricostruzioni sbagliate al proprio paziente, perché anche il falso può servire a promuovere l’affluenza di nuovo materiale inconscio e l’avanzamento dell’analisi. Così Freud fa dire a Shakespeare attraverso Polonio: “Con l’esca del falso si pesca la carpa della verità” (Amleto, Atto II, Scena I).

A che distanza dall’infinito ci portano queste elucubrazioni? Ci portano vicinissimi all’infinito. Lo mostro tornando prima a Spinoza, poi a Gödel.

Nelle prime pagine dell’Etica Spinoza definisce l’infinito come ciò che non contiene negazione, quasi come l’inconscio freudiano. (9) L’infinito è il luogo dell’affermazione dell’essere che non può essere controvertita. Analogamente l’inconscio freudiano è il luogo di una Bejahung (il dire di sì) talmente forte che la negazione non può negarla. Freud sviluppa questo tema spinoziano nel saggio del 1925 sulla Negazione, senza però riferirsi a Spinoza. Lascia, tuttavia, perplessi la spiegazione mitologica, che Freud propone, associando l’affermazione alla forza unificante delle pulsioni erotiche e la negazione alla forza disgregante delle pulsioni aggressive. (10) Trovo non solo più convincenti ma anche più feconde le considerazioni infinitarie di Gödel, il quale nel 1932 dimostrò che le semantiche adeguate alla logica intuizionista devono necessariamente essere infinite. (11) Effettivamente, nel 1935 Tarski costruì per l’intuizionismo una semantica topologica infinita (pubblicata nel 1938) (12) e nel 1965 Kripke formulò la semantica ordinale infinita, riflessiva e transitiva, (13) tuttora in uso, specialmente in teoria delle categorie.

Dopo questa lunga perifrasi, tutto il discorso che precede si riassume affermando che, sì, Freud fu a suo modo intuizionista e forse addirittura ispirò l’intuizionismo di Lacan. Anche Freud asseriva il valore delle costruzioni, a patto che fossero costruzioni epistemiche, cioè elaborate in termini di sapere, che da meno ben saputo (inconscio) diventa meglio saputo (conscio). Da tutte queste considerazioni potrebbe prendere le mosse un programma di ricerca che riporti Freud nell’ambito di una forma debole di intuizionismo, che non solo riduca la portata ontologica delle affermazioni sull’essere ma ampli la portata epistemica delle affermazioni sul sapere, includendovi il sapere che non si sa di sapere, cioè l’inconscio. Esempi anticipatrici di questo potrebbero essere il convenzionalismo di Henri Poincaré o il costruttivismo di Herman Weyl. Ma su ciò devo limitarmi a un semplice accenno. (14)

Considerazione finale.

Il percorso segnalato in queste pagine, concepite come introduzione a uno scritto aurorale, pur essendo senile, di Freud, porta dal freudismo all’intuizionismo. A testimonianza della vicinanza tra questi due ismi, segnalo che è praticabile anche il percorso inverso: dall’intuizionismo al freudismo. Dal 1988 batto questa strada con risultati interessanti. Da allora sono venuto a sapere che si possono costruire degli operatori epistemici a partire da tesi classiche non intuizioniste, come il principio del terzo escluso, il principio del terzo escluso debole (legge di Jankov), la legge di cancellazione della doppia negazione, la consequentia mirabilis (legge di Clavius) e la citata legge di Spinoza (se non si può affermare che l’affermazione implica la negazione, allora si può affermare). Si viene così a creare una logica epistemica i cui operatori godono di teoremi sorprendentemente freudiani: ad es. non si può non sapere, il non sapere è un sapere, si sa di non sapere, sapere di sapere è sapere, ecc. Con opportune cautele si possono definire operatori di desiderio, che condividono buona parte di quei teoremi, a dimostrazione del fatto che il desiderio freudiano non è biologico ma epistemico, in particolare intuizionista. Per ulteriori approfondimenti rimando al mio saggio del 2005 (pubblicato nel 2006). (15)

Resta da aprire un altro fronte discorsivo: come si passa dalla riformulazione intuizionista della teoria psicanalitica alla “rifondazione” della politica della psicanalisi? Credo che il passaggio possa articolarsi in modo “naturale” secondo le modalità in vigore nel mondo scientifico, ben sapendo delle difficoltà della vita quotidiana che in esso prosperano. Però, il programma di dare più peso alle congetture da confutare che alle dottrine da confermare può significare avviare una politica della psicanalisi più consona allo stile della “cura analitica” freudiana. In fondo, il transfert della cura analitica fornisce già un modello minimo di convivenza e di legame sociale, che può essere esteso a tutto l’insieme dei praticanti della psicanalisi, mettendoli al riparo dall’arroganza delle lobby psicoterapeutiche, che si curano poco di infinito e di intuizionismo. Un problema di politica della psicanalisi, quest’ultimo, che al fondatore della psicanalisi sfuggì completamente e che tocca a noi affrontare.

Note

(1) Ovviamente negare la validità di A vel non A non significa affermare che A vel non A è falso; il principio del terzo escluso è sempre vero in universi finiti; può essere falso in universi infiniti, come fa osservare anche Lacan (v. avanti nota 4). (Torna su)

(2) Sin dal 1957, da quando cominciò a parlare di manque-à-être, Lacan si attestò su posizioni ontologicamente deboli. (Cfr. J. Lacan, “L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud” (1957), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 522.) Nel 1964 Lacan definì preontologica la beanza dell’inconscio. (Cfr. J. Lacan, Le Séminaire. Livre XI. Les quatre concepts fondamenteaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973, p. 31.) (Torna su)

(3) Sulla funzione enumerativa del logos (da légein, “raccogliere”), distinta da quella discorsiva, supplementare ma non complementare ad essa, rimando al libro di Paolo Zellini, Numero e logos, Adelphi, Milano 2011. (Torna su)

(4) Espressamente citato da Lacan. Cfr. J. Lacan, Le Séminaire. Livre XX. Encore (1972-1973), Seuil, Paris 1975, p. 89. (Torna su)

(5) Dopo Cantor sappiamo che l’infinito ha infiniti modelli non equivalenti tra loro: l’infinito numerabile, l’infinito continuo, l’infinito delle applicazioni tra infiniti, l’infinito … Già Galileo Galilei e Bonaventura Cavalieri l’avevano preannunciato. (Torna su)

(6) Nella Lettera XII a Lodovico Meyer del 1663 Spinoza confutava la fallacia aristotelica, presentando un modello di infinito limitato: l’insieme delle distanze tra due cerchi (di poco) non concentrici, uno interno all’altro. Cfr. B. Spinoza, Epistolario, a c. A. Droetto, Einaudi, Torino 1974, p. 78. Considero questo modello il primo concreto annuncio di topologia moderna. Il termine leibniziano analysis situs per indicare la geometria di situazione, considerato da Poincaré il vero nome della topologia, comparve solo nel 1679 in una lettera di Leibniz a Huyghens. (Torna su)

(7) Affermare che la psicanalisi possa essere scientifica non significa ammettere che debba essere una fisica o una chimica o una biologia o una sociologia o, come va di moda oggi, una neuroscienza. Occorre però che non sia in contraddizione con nessuna delle scienze attualmente praticate. Per il resto può essere una scienza autonoma. (Torna su)

(8) Cfr. S. Freud, “La rimozione” (1915), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 250. (Torna su)

(9) “All’essenza di ciò che è assolutamente infinito appartiene tutto ciò che esprime essere e non contiene negazione”. B. Spinoza, Ethica (postumo), Parte prima, Definizioni, Spiegazioni. Spinoza distingue tra “infinito nel suo genere” e “assolutamente infinito”, anticipando la distinzione moderna tra “modello della struttura” (realizzazione semantica) e “struttura” (costrutto sintattico) . (Torna su)

(10) S. Freud, “La negazione” (1925), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIV, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 15. (Torna su)

(11) K. Gödel, “Sul calcolo proposizionale intuizionista” (1932), in Id., Opere (1929-1936), trad. S. Bozzi, vol. I, Bollati, Boringhieri, 1999, p. 160. (Torna su)

(12) A. Tarski, Calcolo degli enunciati e topologia (1935), in „Fundamenta Mathematicae“, vol. 31, 1938, pp. 103-134; trad. inglese di J.H. Woodger, “Sentential Calculus and Topology” in A. Tarski, Logic, Semantics and Metamathematics, Oxford Univ. Press, Oxford 1956, pp. 421-454. (versione originale tedesca) (Torna su)

(13) S. Kripke, “Semantical Analysis of Intuitionistic Logic I”, in Formal Systems and Recursive Functions, North Holland, Amsterdam 1965, pp. 92-130. (Torna su)

(14) Un solo accenno per precisare che il costruttivismo intuizionista non ha nulla a che fare con la vulgata (propalata dai suoi detrattori) del cosiddetto pensiero debole, secondo cui “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”. (Torna su)

(15) A. Sciacchitano, “Una matematica per la psicanalisi. L’intuizionismo di Brouwer da Cartesio a Lacan”, in Matematica e cultura 2006, a c. di M. Emmer, Springer Italia, Milano 2006, pp. 61-69. (versione inglese) (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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